"Coscienza, medicina e alternative al sangue

Attualità in tema di rifiuto emotrasfusionale"

Presidio Zona Valtiberina 
Sabato 25 marzo ore 8,30
Via F. Redi, 13 - Ospedale di Sansepolcro – Ar

Dott. Concezio Tiburzi 

Dir. U.O. Chirurgia Valtiberina

"IL BUON USO DEL SANGUE NELLA CHIRURGIA INTRAOPERATORIA. NECESSITÀ OPERATIVE E STRUMENTALI ALTERNATIVE AL SANGUE A FAVORE DELLA COLLETTIVITÀ IN VALTIBERINA".

Nel porgere il mio saluto a tutti i presenti ed al Comitato assistenza per i Testimoni di Geova promotori di questo e di altri incontri con gli operatori sanitari per sensibilizzare gli stessi sul problema delle trasfusioni, voglio ringraziare i Testimoni stessi perché, indipendentemente dalle convinzioni religiose che ognuno possiede, hanno contribuito a spingere la classe medica a sviluppare e perfezionare le metodiche alternative alla trasfusione.

La tendenza infatti ad usare meno frequentemente sangue intero o globuli rossi concentrati, scaturisce non solo dalla consapevolezza di disporre di una risorsa comunque limitata ma anche dai rischi che tale procedura comporta.

Noi facciamo i chirurgi ed abbiamo quindi il massimo rispetto per le emorragie che qualche volta ci fanno anche paura.

L'emorragia è da sempre il primo ed inevitabile effetto collaterale della pratica chirurgica. I progressi in campo farmacologico e tecnico hanno contribuito a ridimensionare questo problema, ma si è ancora lontani dalla sua rimozione. Al contrario l'estensione delle indicazioni terapeutiche e l'applicazione di nuove soluzioni chirurgiche lo hanno amplificato.

La perdita di sangue porta inevitabilmente verso una insufficienza delle varie funzioni che esso svolge emodinamica, innanzitutto, immunitaria, certamente meno sentita in fase acuta, ma con risvolti che appaiono sempre più importanti e complessi, ossiforica ed emostatica. Numerose motivazioni di ordine immunologico, infettivo, religioso ed anche economico ed organizzativo oltre che clinico hanno imposto che il tradizionale rimedio all'emorragia, la trasfusione di sangue omologo, trovasse alternative atte a superare in tutto o in parte quei problemi.

La medicina attuale deve pertanto valutare attentamente gli aspetti, non tutti positivi o addirittura a volte negativi sull'uso del sangue. I Testimoni, spinti dalle loro convinzioni, cercano insieme con i medici di concordare preventivamente comportamenti atti ad eliminare i problemi che nascono soprattutto nell'emergenza e che mettono in difficoltà medici e pazienti.

Siamo, credo a questo punto tutti d'accordo che non sempre si fa' buon uso del sangue e che questa pratica dovrebbe essere ristretta ad un numero di casi più limitato rispetto al passato.

È ben accetto quindi l'impegno che caparbiamente portano avanti i Testimoni se questo deve servire a migliorare le conoscenze in tema di trasfusione, la tattica e la preparazione pre operatoria, le tecniche chirurgiche, le attrezzature ed i materiali e l'assistenza post operatoria in maniera da crescere insieme anche se ognuno di noi dovrà necessariamente mettere in discussione vecchie convinzioni e certezze nell'interesse dei pazienti.

Strategie terapeutiche per ridurre le emotrasfusioni durante l'intervento chirurgico.

  1. Fermare l'emorragia
  2. Non ritardare l'intervento
  3. Anestesia ipotensiva
  4. Adottare le procedure meno invasive
  5. Emodiluzione normovolemica pre operatoria | Elettrocauterio | Bisturi emostatici | Bisturi ad Argon | Laser

  6. Emostasi accurata | Gelatine | Cellulosa | Collagene | Colle di fibrina
  7. Attrezzature per microcampionatura
  8. Emorecupero

Autoemotrasfusione l'idea di sostituire o reintegrare un organo malato o deficitario, per restituire all'uomo la salute, è certamente molto antica.

Anche il sangue, organo liquido-corpuscolato, che consente e mantiene la vita, è stato oggetto di questa necessità.

Appare ormai provato che quando per trasfondere un paziente si usa il suo proprio sangue - autotrasfusione - si realizza in assoluto la trasfusione più sicura da un punto di vista medico e, forse, la più conveniente da un punto di vista economico.

indicazioni

le indicazioni alla trasfusione autologa sono riassumibili in: 1) necessità di sangue con fenotipo raro; 2) presenza nel paziente di allo-anticorpi; 3) pregresse reazioni trasfusionali gravi; 4) difficoltà nell'approvvigionamento in zone o comunità isolate; 5) riduzione della immuno-depressione indotta da trasfusioni autologhe e, quindi, minor rischio di complicanze settiche; 6) credenze religiose.

vantaggi

i vantaggi dell'autotrasfusione sono rappresentati da: a) nessun rischio di trasmissione di malattie infettive; b) nessun rischio di allo-immunizzazione verso antigeni eritrocitari, leucocitari, piastrinici o proteici; c) nessun rischio di reazioni emolitiche, febbrili o allergiche; d) nessun rischio di reazione di trapianto verso l'ospite; e) stimolazione dell'eritropoiesi indotta dai salassi preoperatori; f) riduzione dei costi (non necessario effettuare tutti i tests pretrasfusionali), g) maggiore disponibilità di sangue per altri pazienti; h) prevensione delle complicanze tromboemboliche.

possibilità tecniche e metodiche

le principali tecniche di trasfusione al paziente del suo proprio sangue sono: 1) il predeposito; 2) l'emodiluzione preoperatoria isovolemica; 3) il recupero intra/post- operatorio.

Predeposito per autodonazione

Tutti i pazienti candidati ad un intervento in elezione che si presume possano aver bisogno di un apporto ematico intra o post-operatorio possono predepositare parte del loro sangue. Sono esclusi da questa possibilità gli anemici (Hb < 11 gr/dl, Hct < 34%) ed i cardiopatici gravi.

Le modalità di predeposito sono essenzialmente: 1) predeposito per salasso semplice; 2) predeposito con salasso multiplo; 3) predeposito con salasso a "salto di rana".

La pratica del predeposito, che può essere effettuata anche in regime di day-hospital, sarà gestita dal centro trasfusionale su indicazione dei chirurghi curanti o direttamente da questi ultimi, sempre, però con la collaborazione dei medici trasfusionisti.

La prima metodica consiste nel prelievo di una sacca di sangue (350/500 ml) alcuni giorni prima dell'intervento e nella sua conservazione per le eventuali necessità.

Il predeposito con salasso multiplo, impiegato per ottenere quantità di sangue maggiori, richiede un periodo di tempo più lungo: nelle due settimane che precedono l'intervento si effettuano tre salassi di 350/400 ml, nei giorni 1-4-8 e l''intervento può essere programmato dal dodicesimo giorno in avanti.

L'anemia indotta generalmente ben tollerata, tanto da non essere, quasi mai, necessaria la sostituzione di massa sottratta con liquidi particolari, ma è sufficiente aumentare l'apporto idrico con la dieta ed eventualmente, prescrivere una opportuna terapia marziale e folati, per far sì che la risposta organismica riequilibri lla perdita. La rigenerazione dei neutrofili, dopo il salasso, è completata di solito dopo le prime 24 ore; anche le piastrine vengono reintegrate in un periodo variabile fra 2 e 3 giorni; l'unica limitazione sembrerebbe quella indotta dalla critropoiesi, ma è noto che lo stress ipossico, determinato dalla ipossia stimola la mobilizzazione dell'eritropoietina renale ed induce una stimolazione intramidollare, fino a triplicare la capacità eritropoietica.

Con questo sistema si raccoglie più di un litro di sangue, che può essere conservato allo stato liquido, come sangue intero, o, in alternativa, separato in emazia e plasma: quest'ultimo, congelato,consente di conservare i fattori labili della coagulazione.

La tecnica del "salto di rana" consiste nel prelievo di una unità di sangue e dopo cinque o sei giorni il prelievo di altre due, reinfondendo quella precedentemente ottenuta; continuando, con questo sistema a salto, si possono ottenere le quantià di sangue desiderate, senza grossi problemi per il paziente, avendo sempre a disposizione un prodotto relativamente fresco. Ma, come detto, i progressi nella conservazione del sangue e l'impiego di plasmaexpanders di più recente produzione, hanno reso meno diffusa tale tecnica, per altro più indaginosa e più complessa da un punto di vista organizzativo.

Emodiluizione isovolemica preoperatoria

Con il termine di emodiluizione preoperatoria isovolemica si intende un salasso, immediatamente prima dell'intervento chirurgico, di una quantità di sangue sufficiente sopperire alle presumibili necessità intra e post-operatorie del paziente.

Poco prima o meglio, poco dopo l'induzione dell'anestesia, quando i segni vitali sono stabili ed avendo monitorato il paziente (P.A., PVC, ECG), con Hb > 11gr/dl e Hot > 35%, si procede rapidamente ad un prelievo di più unità di sangue da 450 ml trasfondendo simultaneamente pari quantità di plasmaexpanders.

Allo scopo di assicurare la normovolemia, la velocità di infusione del plasmaexpanders deve essere regolata in base alla velocità del prelievo ematico.

Dopo il prelievo della seconda sacca è opportuno controllare i tassi d emoglobina e l'ematocrito che non dovrebbe scendere al di sotto del 28% - 30% essendo il valore ottimale per ottenere una buona per fusione tissutale periferica ed una sufficiente prevenzione delle complicanze tromboemboliche intorno al 30% di Hct.

Le perdite ematiche intra e post-operatorie verranno reintegrate con il sangue dello stesso paziente, reinfondendo le sacche in ordine inverso al prelievo e cioè somministrando per prima quella prelevata per ultima e per ultima quella prelevata per prima, più ricca di elementi figurati e di fattori della coagulazione.

Recupero intraoperatorio (emorecupero )

La metodica consiste nel recupero del sangue dal campo operatorio e nel processo di questo con filtrazione e separazione di coaguli ed aggregati di fibrina dalle emazie. Le emazia, previo lavaggio con soluzione fisiologica, vengono concentrate in sacche ad ematocrito tra 65 e 70%. Esistono diversi apparecchi atti al processo del sangue proveniente dal campo operatorio. I più semplici e meno costosi permettono soltanto la filtrazione, i più complessi anche il lavaggio e la centrifugazione del sangue aspirato con depurazione automatica del sovranatante (SOLUZIONE ANTICOAGULANTE, PIASTRINE, PLASMA, FIBRINA).

Questi ultimi, sebbene più costosi, necessitano di tempi di lavorazione del sangue sensibilmente più lunghi e richiedano personale tecnico altamente qualificato, sono da preferirsi in quanto evitano effetti collaterali legati alla infusione di fibrina, fattori della coagulazione attivati, soluzioni anticoagulanti, aggregati piastinici, emoglobina libera.

Le indicazioni all'emorecupero sono gli interventi di chirurgia generale e specialistica elettivi; ma un campo di applicazione in evoluzione è costituito dalla chirurgia d'urgenza dei traumi e delle patologie vascolari maggiori (rotture di aneurismi), anche se in questi casi la procedura comporta cospicue problematiche organizzative.

Le controindicazioni all'impiego del recupero intraoperatorio sono l'esposizione del sangue a batteri (ascessi endocavitari o della parete addominale, contaminazione fecale, osteomieliti) e a cellule neoplastiche. Infatti una questione tuttora aperta riguarda l'impiego del recupero intraoperatorio nella chirurgia oncologica, in quanto vi è il timore che cellule neoplastiche maligne eventualmente aspirate dal campo operatorio e reinfuse, possano causare lo viluppo di metastasi a distanza. Gli studi sinora effettuati non hanno dimostrato casi di disseminazione tumorale in seguito a reinfusione di sangue recuperato; gli eventuali rischi di metastatizzazione vanno comunque rapportati ai ben definiti rischi di una trasfusione omologa tenendo conto che la trasfusione di anche una sola unità di sangue omologa causa immunodepressione nel malato neoplastico. Sono state adottate metodiche innovative al fine di prevenire l'eventuale reinfusione di cellule neoplastiche; l'esposizione ai raggi X del sangue proveniente dal recupero intraoperatorio consente infatti di sterilizzare le cellule tumorali; tali esperienze cliniche sono in progressiva espansione da quando è stato possibile utilizzare per l'irraggiamento apparecchi portatili a raggi X invece del Cesio 137.

I vantaggi generali dell'utilizzo di sangue autologo nell'emorecupero sono identici a quelli riportati per le autotrasfusioni in generale. Ulteriori aspetti positivi dell'emorecupero, nei confronti delle altre metodiche, sono costituiti dalla possibilità di utilizzare il sangue autologo in quantità considerevole senza sedute di salasso, che presuppongono invece precisi protocolli temporali (interventi chirurgici improvvisi, come il trapianto; chirurgia d'urgenza).

I rischi dell'emorecupero sono legati ad errori procedurali o alla infusione di numerose unità di emazie recuperate dal campo operatorio. Infatti nel decorso post-operatorio di pazienti sottoposti a cospicue autotrasfusioni sono stati osservati ipofibrinogemie, trombocitopenie, ed allungamento dei tempi di protrombina e di tromboplastina parziale. La ragione di tale coagulopatia da diluizione risiede nel fatto che il sangue processato non conserva alcuna attività coagulante in quanto privo di piastrine e di fattori della coagulazione: infine l'infusione di grandi quantità di emazie non lavate comporta un certo grado di danno renale, in quanto frammenti di emazie possono precipitare a livello del tubulo. L'emolisi può essere minimizzata utilizzando basse pressioni di aspirazione. Un'altra possibile complicanza è l'embolia; essa può essere dovuta all'infusione di microframmenti ossei (chirurgia ortopedica) o alla presenza di aria ei circuiti; tuttavia la presenza - sui nuovi sistemi automatici - di filtri e di allarmi specifici ha reso tale evenienza molto rara.

controindicazioni e limiti

le controindicazioni alla autotrasfusione possono essere suddivise in assolute ed in relative.

Le assolute sono rappresentate da: anemia (Hb < 11 gr/dl, Hct < 35%); malattie coronariche ed in geneere cardiovascolari gravi (segni E.C.G. di ischemia a riposo, angina instabile, ipertensione), malattie della coagulazione; grave insufficienza epatica e/o renale.

Le controindicazioni relative sono: moderata insufficienza epatica e/o renale; sepsi generalizzata; insuffcienza respiratoria grave; modesta anemia.

A proposito delle controindicazioni assolute abbiamo citato l'anemia. Orbene una discreta percentuale di pazienti con neoplasie gastroenteriche presenta una anemizzazione cronica, che non consente una delle metodiche di autotrasfusione su riportate. La segnalazione che pazienti neoplastici anemizzati hanno una produzione endogena di eritropoietina (Epo) inadeguata rispetto al grado di anemia, accredita l'ipotesi che sia la presenza stessa del tumore ad influire negativamente sulla eritropoiesi.

Nell'ottica dunque di definire una strategia trasfusionale caratterizzata da un miglior rapporto costo/benefici è stato proposto già da alcuni anni l'impiego di  eritropoietina umana ricombinante (rHu-EPO).

Essa trova indicazione in chirurgia non solo nella correzione dell'anemia prima di un intervento e nel favorire l'eritropoiesi nell'immediato periodo post-operatorio, ma anche nell'incrementare la possibilità predepositare sangue autologo.

Dai risultati di vari studi è emerso chiaramente l'efficacia di r-Hu-EPO che ha consentito la donazione di sangue autologo nel 100% dei pazienti anemizzati, altrimenti impossibilitati al predeposito, ma che soprattutto ha ridotto significativamente l'utilizzo di sangue omologo. La sola terapia marziale non è risultata sufficiente a stimolare l'eritropoiesi, a supporto della tesi che l'anemia sideropenica, che colpisce circa il 70% dei pazienti con neoplasie gastro-enteriche, non è dovuta solamente ad un microsanguinamento cronico, ma presenta una etiologia multifattoriale come si verifica nell'anemia da malattie croniche. Essa è caratterizzata da una inadeguata produzione endogena di EPO, da una ridotta capacità proliferativa midollare e dal blocco reticolo-endoteliale del ferro. Questa tesi è confermata dal riscontro di valori di EPO endogena molto bassi, rispetto a quanto atteso in base al grado di anemia.

Uno dei protocolli più utilizzati prevede la somministrazione di 10.000 U.I. di r-Hu-EPO sottocute al dì per 6 giorni (preferibilmente 10-14 giorni prima dell'intervento chirurgico) associata alla somministrazione di ferro per os (525 mg/die) che segue la somministrazione endovenosa di 200 mg di ferro effettuata in concomitanza con il predeposito.

In conclusione, il trattamento preoperatorio con r-Hu-EPO nei soggetti anemizzati si è rilavato assai utile nel ridurre il rischio trasfusionale in chirurgia oncologica addominale.

I limiti di tutte queste tecniche sono rappresentati essenzialmente da: problemi psico-sociali, organizzativi, medico-legali.

Limiti psico-sociali

Anche la diffusione dell'AIDS e la conseguente campagna allarmistica condotta dai mass-media ha appalesato il problema dei rischi legati alle trasfusioni di sangue e dei suoi derivati, non è facile far recepire al paziente il vantaggio di una autotrasfusione rispetto ad una somministrazione di sangue autologo. D'altro canto anche il personale sanitario è scarsamente sensibilizzato al problema e non ha ancora raggiunto una piena consapevolezza della "filosofia" dell'autotrasfusione, che se ben organizzata riesce a soddisfare in maniera opportuna ed ottimale almeno il 20%-30% del fabbisogno di sangue.

Limiti organizzativi

Indubbiamente la messa a punto di un piano di autotrasfusione richiede una perfetta organizzazione interdisciplinare, non sempre facile da realizzare, fra chirurghi, anestesisti, centri trasfusionali, laboratorio.

Limiti medico-legali

Da questo punto di vista vi è ancora molta confusione. Se da un lato viene richiesto al paziente donatore un consenso informato, con la compilazione di una scheda che deve essere sottoscritta dal paziente, ancora oggi, l'autotrsfusione, nei suoi vari aspetti (predeposito, emodiluizione, emorecupero) non viene considerata dal legislatore nella sua giusta ottica, ed i pareri dei giuristi variano da una sospettosa attenzione verso una cosa nuova, considerata alla stregua di pura sperimentazione, all'obbligo, quasi, di effettuare solo autotrasfusioni autologhe, soprattutto negli interventi in "elezione".

Anche in questo settore, quindi, esiste una confusione che certamente non giova al paziente ed alla serenità di lavoro degli operatori sanitari.

SOSTITUTI DEL SANGUE

La trasfusione dei globuli rossi è l'unico metodo clinico accettabile per aumentare la capacità di trasporto di ossigeno da parte del sangue.

Lo sviluppo di sostituti delle emazie eliminerebbe il rischio di infezioni insito nella trasfusione di sangue e fornirebbe una fonte comoda di prodotto universalmente compatibile.

Numerose sostanze sono state considerate come sostituti delle emazie e possono essere suddivise in due gruppi generali:

  1. molecole di sintesi, come le porfirine ed i composti di perfluoro;
  2. molecole che incorporano l'emoglobina nella loro struttura, come le soluzioni di emoglobina prive di stroma coniugate e polimerizzate.

I sostituti accettabili delle emazie devono essere in grado di trasportare almeno tanto ossigeno quanto normalmente ne trasporta l'emoglobina.

Queste molecole, inoltre, devono essere stabili e possedere un'emivita accettabile.

Il sostituto dei globuli rossi dovrebbe possedere proprietà che gli permettano di saturarsi completamente di ossigeno. Le soluzioni preparate devono essere altamente purificate e prive di contaminanti ed endotossine.

Il perfluorocarbonio trasporta in modo efficiente quantità significative di ossigeno e di anidride carbonica, dimostrando così di essere potenzialmente un efficace sostituto degli eritrociti. Il perfluorocarbonio può trasportare da 40 a 50 ml di ossigeno per 100 ml di soluzione; ciò rappresenta più del doppio della quantità di ossigeno che l'emoglobina interamente saturata trasporta nell'adulto normale.

Sono state sperimentate nell'uomo numerose molecole di perfluorocarbonio, ma con poco successo. Attualmente tali molecole non hanno applicazioni cliniche come sostituti dei globuli rossi.

I primi tentativi di preparare soluzioni di emoglobina furono fatti mettendo insieme del sangue scaduto i cui globuli rossi venivano frantumati per poi estrarre le molecole di emoglobina, dato che le proprietà antigeniche degli eritrociti sono connesse con la membrana cellulare, la soluzione di emoglobina così ottenuta può essere infusa nei pazienti di qualsiasi gruppo sanguigno. Questa soluzione viene denominata emoglobina prive di stroma.

Le limitazioni nell'uso dell'emoglobina prive di stroma comprendono la sua emivita circolatoria molto breve, la sua capacità di trasporto di ossigeno relativamente bassa e la sua clearance attraverso i reni che può indurre effetti secondari significativi.

Per eludere tali difficoltà, le soluzioni di emoglobina sono state polimerizzate e piridossilate. La soluzione che ne risulta possiede la stessa capacità di trasporto di ossigeno del sangue normale e permane nel circolo sanguigno da 4 a 5 giorni senza essere escreta attraverso i reni.

Queste soluzioni possono mantenere vivi gli animali di esperimento per parecchie ore in mancanza totale di globuli rossi naturali.

Studi successivi condotti su volontari sani hanno dimostrato la sicurezza delle su menzionate soluzioni nell'uomo.

Sono in corso studi clinici per stabilire l'efficacia delle soluzioni nelle emorragie acute e le loro applicazioni peri-operatorie.

CONCLUSIONI

Non vi sono state negli ultimi anni importanti novità nel campo dell'utilizzo del sangue in chirurgia; tuttavia l'interesse sull''argomento si è mantenuto vivo allo scopo di razionalizzare l'impiego delle diverse metodiche disponibili per ridurre la necessità del ricorso al sangue allogenico ricercando al contempo il miglior rapporto costo/benefici.

L ricerca farmacologica ha fornito il proprio contributo rendendo disponibili per l'uso clinico farmaci attivi sul processo coagulativo quali l'aprotinina e l'acido ipsilon-aminocaproico, anti-fibrinolitici, il cui impiego si è dimostrato efficace nel ridurre il sanguinamento intra e post-operatorio negli interventi di chirurgia cardiaca ed ortopedica maggiore.

Fra le varie tecniche trasfusionali il predeposito autologo ed il recupero intraoperatorio sono quelle che incontrano i favori del paziente per la loro maggiore sicurezza sia in termini di reazioni trasfusionali sia dal punto di vista infettivologico.

D'altra parte il recupero intraoperatorio solleva, seppur seppur in misura ridotta rispetto al passato, perplessità per il suo uso negli interventi di chirurgia oncologica e da solo non copre tutto il fabbisogno trasfusionale, per cui quando possibile esso deve essere integrato da un deposito di sangue autologo pre o intraoperatorio.

Dato che il ricorso alla pratica autologa è una scelta terapeutica che non comporta problemi di particolare rilevanza, il mancato inserimento del paziente in un programma di autotrasfusione, qualora ne ricorrano invece i requisiti, farà sorgere delle problematiche medico-legali: è ipotizzabile l'identificazione della responsabilità del sanitario per colpa specifica e per colpa generica derivante da imperizia, negligenza ed imprudenza. Inoltre in tal caso l'omissione colposa del ricorso alla pratica autotrasfusionale può determinare la responsabilità penale, oltre che civile, dei dirigenti dei centri trasfusionali, dei dirigenti dei servizi di anestesia e delle divisioni chirurgiche per non aver attuato la collaborazione necessaria, il che potrebbe configurare anche il reato di omissione di atti di ufficio.

La suddetta precisazione medico-legale testimonia l'importanza che attualmente viene attribuita alla pratica trasfusionale anche da parte de legislatore oltre che dell'opinione pubblica; di non minore importanza appare l'impatto economico che questa problematica determina nella moderna gestione aziendale della sanità.

È quindi necessario che il chirurgo si adoperi, per quanto attiene alle sue competenze, affinché il singolo paziente possa giovarsi del programma trasfusionale più razionale in funzione delle sue condizioni cliniche generali, del tipo di intervento chirurgico al quale è candidato e quindi del suo fabbisogno trasfusionale.

In definitiva riteniamo sia opportuno che il chirurgo promuova strategie di autotrasfusioni sempre più personalizzate ed efficaci.

In tale ambito, l'eritropoietina umana ricombinante sembrerebbe poter risolvere, alla luce delle più recenti acquisizioni, gran parte dei problemi legati alle varie strategie trasfusionali, ma il suo uso indiscriminato è difficilmente giustificabile anche per gli elevati costi del farmaco.

Appare invece più ragionevole un approccio mirato ai pazienti con bassi valori di ematocrito, di scarsa massa corporea, sottoposti ad interventi in cui sia previsto un discreto fabbisogno trasfusionale o quando il predeposito non sia possibile per un troppo breve periodo preoperatorio.