Una lacrima vede più lontano del telescopio - Empatia e Burnout

24.02.2023 - Tempo di lettura: 7 minuti www.egm.it no profit by www.biodiritti.org  - link d'invito per leggere in Telegram altri articoli di divulgazione Scientifica di Biodiritti by Egm.it No Profit.

L'empatia di una lacrima vede più lontano del telescopio. Si può evitare lo sprofondare nell'angoscia o diventare cinici e apatici alle sofferenze. Fede, speranza e una buona parola aiutano a non essere sopraffatti dalla sofferenza e dal Burnout

Un dottore in legge, Saulo di Tarso, più conosciuto come l'apostolo Paolo, nella sua lettera ai cristiani in Italia, (Romani 12:15) scrisse di "piangere con quelli che piangono". Descrisse così la capacità di mettersi nei sentimenti, stati d'animo e pensieri altrui. Questa qualità è l'EMPATIA, dal greco antico "εμπάθεια" (empátheia), composta da en-, "dentro", e pathos, "sofferenza o sentimento". L'empatia vede attraverso una lacrima meglio di un telescopio. Ci permette di esplorare l'universo dell'animo umano e attingere alle profonde acque del cuore, nostro e altrui. Vivendo ogni giorno sollecitati e circondati da sofferenze come possiamo evitare di sprofondare nella Sindrome del Burnout, diventando pieni di angoscia o peggio cinici e apatici alle sofferenze? 
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I malati gravi e coloro che li assistono, personale sanitario, volontari, familiari e amici possono evitare di sprofondare in uno stato di eccessiva frustrazione. Tutti siamo turbati di fronte alle necessità fisiche ed emotive della sofferenza. È normale che una persona gravemente malata si lasci prendere dall’ansia, e se deve ricoverarsi la sofferenza emotiva spesso aumenta. Reagire in modo positivo fa bene al malato e a chi l'assiste. In questo articolo di www.biodiritti.org  14.02.2023 dedicato al Mieloma Multiplo si percepisce come la sofferenza sia stata ben gestita sia dal malato che da operatori sanitari, amici, confratelli, familiari e Comitati di Assistenza Sanitaria. Oggi si può convivere per anni con malattie che nel passato avrebbero portato ad una morte rapida. Allungare la vita non significa necessariamente guarire. Alcune malattie gravi possono renderci non autosufficienti. Vivere con tali condizioni è per il malato molto difficile. Anche prendersene cura è diventato sempre più complicato e impegnativo. La condizione del malato, forse aggravata dalle terapie d’urto e dai relativi effetti collaterali, può sconvolgerlo così tanto da far dimenticare a chi lo assiste un bisogno fondamentale del paziente: quello di poter fare le proprie scelte ed essere aiutato a reagire in modo positivo. 
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La sofferenza può coinvolgerci così tanto dal farci diventare una delle vittime della Sindrome del Burnout classificata come tale nel 2019 dall'OMS. È uno stato patologico (dall’ingl. «bruciare completamente») che si verifica in individui che subiscono la malattia o che svolgono professioni o attività di aiuto, anche in famiglia e nel volontariato. L'assistenza offerta a chi è vittima di malattie inguaribili o terminali richiede molto equilibrio. Le persone con tale sindrome, arrivano al punto di "non farcela più" e si sentono completamente insoddisfatti e prostrati dalla routine quotidiana dell'aiuto da dare. Assistere un malato, familiare o no, può essere sfibrante. Nel tempo, la sindrome del burnout può condurci ad un distacco mentale, con atteggiamento di indifferenza, malevolenza, cinismo e abusi verso i destinatari dell'attività di aiuto prestata. 
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Possiamo assistere il malato in modo ottimale solo prendendoci cura anche di noi stessi. Anche il malato può fare molto per rendere l'assistenza gratificante. Se ci indeboliamo a livello fisico ed emotivo potremo non essere più in grado di dare o ricevere il sostegno, conforto, amore e speranza di cui ha bisogno la persona fragile. Come possiamo mantenere l’equilibrio mentre assistiamo un paziente, un familiare malato o anziano? Cercando di compiere azioni positive con amore ed empatia. Senza trascurare i nostri limiti e l'importanza dell'amare noi stessi. 
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 È un’esperienza toccante permettere ad una persona molto malata di confortare altri, anche chi gli da assistenza. Può essere molto importante per il malato condividere i propri sentimenti positivi e speranze anche spirituali. Consolando e lodando altri, chi è stato oggetto di tante attenzioni, può riscoprire il piacere di ricambiare gentilezze e speranze rafforzando così la sua identità amorevole. Chi offre aiuto, e chi lo riceve, deve accettare i propri limiti e chiedere sostegno. Molti hanno paura di chiedere aiuto. Non vogliono essere considerati incapaci. Tutti ogni tanto abbiamo bisogno di una pausa, stimolando la mente a pensare in modo rilassante.
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 Possiamo aiutare un malato e chi lo assiste con parole di lode e apprezzamento. È significativo che familiari malati e strutture, esprimano apprezzamento per tutto quanto viene fatto sia da chi assiste che dal malato. Una parola di lode e una pacca sulla spalla, data anche da chi soffre e dai suoi familiari, può far vedere le cose in una luce più positiva. "Ama il tuo prossimo come te stesso", è un antica frase evangelica. Non dice di amare il prossimo PIÙ di noi stessi ma COME NOI STESSI. Quindi è indispensabile imparare ad amarsi per non diventare insoddisfatti, prostrati e non farcela più. Il sostegno emotivo di amici, colleghi e familiari che ci ascoltino in modo comprensivo ci permette di staccare ogni tanto la spina dal vivere la sofferenza propria e altrui. "Non è facile lasciare il malato, distrarsi o riposare. Molti sentono di dover essere lì ogni momento. Dobbiamo crearci una rete di sostegno tra intimi amici e familiari", dice la rivista USA Today. E aggiunge: “Dobbiamo anche sentirci liberi di valerci dei centri religiosi e dei servizi di igiene mentale”. Potremmo sentirci in colpa per esserci allontanato dal proprio caro. Vedere gli effetti che il passare degli anni produce sui malati, genitori, familiari e amici può essere sconvolgente.
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Per chi è religioso e non può contare sul sostegno di familiari e amici, la scrittura del profeta Isaia 46:4 sopra riportata esprime un pensiero spirituale di grande conforto. È incoraggiante ricordare la promessa che "Anche quando saremo vecchi DIO sarà lo stesso; anche quando avremo i capelli bianchi continuerà a sorreggerci e ci salverà". Familiari e amici premurosi forse possono offrire sostegno con parole appropriate e talvolta anche aiuto pratico all’inizio della malattia. Ma che dire se questa si prolunga? Il malato potrebbe portare in sé disorientamento, depressione, incontinenza, perdita dell’udito, della vista e della memoria. Può essere straziante rendersi conto che i propri genitori, un tempo forti e indipendenti, non sono più in grado di badare a se stessi. E potrebbe farci soffrire il pensiero che fra qualche anno potremmo trovarci nella stessa triste situazione. Come possiamo assistere noi stessi e il malato? 
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Il principio sopra riportato di Proverbi 17:22 ricorda al malato e a chi lo assiste che il cuore gioioso è una Medicina, a differenza dello spirito abbattuto che toglie le forze. Non è sempre facile applicarlo per chi assiste un infermo quando non riesce a prendersi un po’ di riposo. Ansia, frustrazione, rabbia, sensi di colpa e perfino rancore potrebbero prendere il sopravvento: molti, anche malati e figli che si prendono cura dei propri cari possono provare questi sentimenti. A volte un paziente o genitore potrebbe dire qualcosa di poco gentile o mostrarsi ingrato. Se accade ognuno potrebbe cercare di rimediare il prima possibile. La maniera migliore per reagire a qualsiasi sentimento che ci fa stare male, è riconoscerlo ed agire in modo positivo. Dobbiamo evitare di negarlo o di giudicarci severamente perché ci sentiamo in un certo modo. Parlarne con il vostro coniuge, con un altro familiare o con un amico di cui ci fidiamo ci aiuterà a comprendere i nostri sentimenti e a mantenere l’equilibrio. Non dimentichiamo quanto fu scritto secoli fa: “Il vero amico ama in ogni circostanza e si dimostra un fratello nei momenti difficili” (Proverbi 17:17).
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 In conclusione, cosa vuol dire guardare gli altri attraverso le nostre e altrui lacrime? Dare fede e speranza. Mantenersi positivi e gioiosi nell'assistere e nell'essere assistiti. Per il personale sanitario e la famiglia, può significare mantenere l'equilibrio con empatia senza diventare vittime del burnout e sprofondare nell'angoscia, o peggio diventare indifferenti, malevoli e cinici verso i destinatari dell'attività di aiuto prestata a chi soffre. Per il malato significa vivere e far vivere chi gli è intorno con sorriso e gratificazione per ciò che fanno per lui. Tornando alle parole iniziali non dimentichiamo che la frase intera dell'apostolo Paolo in Romani 12:15 è "Rallegratevi con quelli che si rallegrano e piangete con quelli che piangono". Non smettiamo di rallegrarci con quelli che si rallegrano. Potremo continuare a vedere più lontano di un telescopio attraverso l'empatia delle lacrime e gioia altrui, aggrappandoci alla speranza e fede. Assistere infermi e anche esserlo, ci fa acquistare nuove qualità e capacità. Conosceremo ogni giorno di più l'universo infinito del cuore e dell'animo umano. Nostro e altrui. 

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